SINDROME METABOLICA E OBESITA'

04.10.2012 18:10

MONOGRAFIA DOTT.L. MARINELLI  (TESI MASTER IN NUTRIZIONE E DIETOLOGIA CLINICA)

Obesità, diabete di tipo 2 e sindrome metabolica in età pediatrica

 

EPIDEMIOLOGIA

Il diabete è una malattia nella quale il corpo è incapace di regolare la concentrazione ematica di glucosio (glicemia). La regolazione della glicemia è normalmente effettuata dall'ormone insulina,prodotto dal pancreas. L'insulina permette al glucosio di passare dal sangue al fegato, ai muscoli ed alle cellule adipose, dove viene utilizzato per produrre energia.L'incapacità di utilizzare l'insulina disponibile è la forma più comune di diabete ed è classificata come diabete di tipo 2. Le cellule diventano sempre più resistenti all'insulina ed il pancreas tenta di vincere questa resistenza producendone sempre di più. Alla fine il pancreas non riesce più a compensare questa resistenza all'insulina e smette di produrla. Ne consegue che molti pazienti con diabete di tipo 2 devono alla fine ricorrere ad una insulino-terapia . Attualmente si stima che circa 250 milioni di persone in tutto il mondo soffrano di diabete2; una diffusione che si prevede possa aumentare fino a 366 milioni entro il 2030.3 Oltre il 90% di tutti i pazienti diabetici è affetto da diabete di tipo 2 e questa forma è responsabile dell'attuale epidemia di diabete2. In Europa si è stimata una diffusione del diabete approssimativamente del 8,4% e si calcola che possa aumentare fino al 9,1% entro il 2025.  Fra i 5 più grandi paesi europei, la Federazione Internazionale del diabete ha calcolato una prevalenza del diabete del 4% nel Regno Unito, del 8,4% in Francia, del 8,7 % in Italia, del 7,5% in Spagna e del 11,8% in Germania. Si ritiene che questa incidenza sia destinata ad aumentare. Valori simili si riscontrano anche nelle popolazioni del mediterraneo orientale e del Medio Oriente (7,0%) e del Nord America (7,9%). La prevalenza media in Africa è invece del 2,4%, del 3,1% nelle zone del Pacifico occidentale e del 5,6% nel sud-est asiatico e nell'America centrale e meridionale. La suscettibilità al diabete di tipo 2 è influenzata dall'età, dalla genetica e dallo stile di vita. La prevalenza aumenta in modo regolare con l'età, da meno del 10% nelle persone sotto i 60 anni a più del 20% in persone sopra i 60 anni. I fattori genetici predispongono alcuni individui a sviluppare il diabete: ad esempio, le persone con parenti di primo grado affetti da diabete hanno maggiore probabilità di sviluppare questa malattia, come pure individui di origine africana, asiatica o caraibica. Il più importante fattore di rischio per sviluppare il diabete è tuttavia la combinazione di una vita sedentaria e una dieta ad alto contenuto di grassi, una combinazione di fattori che sta diventando sempre più predominante in persone di tutte le età. Cinquant’anni fa il numero delle persone affette da diabete si attestava sui 55 milioni a livello mondiale, cioè un quarto del livello attuale. Sebbene l’invecchiamento della popolazione abbia contribuito ad uno sviluppo dell’epidemia di diabete, il drammatico aumento nel numero delle persone in sovrappeso (con un indice di massa corporea [IMC] di 25-30kg/m2) o clinicamente obese (IMC > 30 kg/m2) è un fattore chiave incidente.

L'obesità determina un’insulino-resistenza che, col tempo, porta alla progressione del diabete di tipo 2. Il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 cresce proporzionalmente al peso con un aumento decuplicato in soggetti con un IMC superiore a 30. In particolare, l'adipe concentrato nella parte superiore del corpo (obesità addominale) rende le persone maggiormente  suscettibili al diabete, rispetto a quelle con l'adipe concentrato al di sotto della vita. L'obesità addominale non solo preannuncia lo sviluppo del diabete di tipo 2, ma è anche un fattore di rischio per losviluppo di patologie cardiovascolari. I dati forniti dall'Organizzazione mondiale della sanità indicano che i tassi di obesità nel Regno Unito sono fra i più alti del mondo Attualmente, circa 2 uomini su 5 (42-44%) e una donna su 3 (31-35%) nel Regno Unito sono in sovrappeso ed un adulto su 4 è obeso. Nei maggiori paesi europei, la prevalenza dell'obesità è approssimativamente del 10-5% negli uomini e del 15-20%

nelle donne fra i 25 e i 55 anni.10 Inoltre, poiché i paesi in tutto il mondo adottano uno stile di vita ed una dieta prettamente occidentale, è probabile che l'obesità e l’epidemia di diabete di tipo 2 continueranno ad aumentare. Il diabete è una condizione cronica che si aggrava progressivamente; le complicanze a lungo termine includono danni ai vasi sanguigni, piccoli e grandi, che si traducono in cecità, malattie renali, malattie cardiovascolari, cerebrovascolari, vascolari periferiche ed amputazione degli arti. I soggetti con diabete manifestano, con buona probabilità, una serie di disordini metabolici (chiamata sindrome metabolica), che include elevati livelli di colesterolo, elevata pressione sanguigna ed obesità addominale. Ne risulta che sono ad alto rischio di malattie cardiovascolari e di morte prematura2 . In particolare, le coronaropatie sono la più comune causa di morte fra gli adulti europei che soffrono di diabete2. I pazienti affetti da diabete di tipo 1 necessitano di un trattamento quotidiano di insulina. Per quelli con diabete di tipo 2, esiste una serie di medicamenti per via orale, atti a ridurre il livello di glucosio nel sangue. I pazienti con diabete hanno spesso la pressione sanguigna alta e livelli di colesterolo al di sopra della norma, il che peggiora il diabete ed aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Di conseguenza, molti pazienti diabetici vengono anche trattati con farmaci, per aiutarli a normalizzare la pressione sanguigna ed i livelli di colesterolo. Inoltre, una moderata perdita di peso del 5-10% ed un aumento dell'attività fisica possono impedire, o ritardare, lo sviluppo del diabete di tipo 2 L’obesità ha raggiunto in molte nazioni una diffusione di tipo epidemico che ha coinvolto anche i soggetti in età evolutiva. Secondo lo studio americano NHANES, rispetto a quanto atteso, la prevalenza di eccesso ponderale grave (BMI > 30) nell’adulto è raddoppiata e nel bambino addirittura triplicata arrivando a valori superiori al 25% in talune minoranze etniche1,2.Un aumento del trend secolare di prevalenza è stato osservato anche in Paesi come la Cina e l’India nei quali il recente e rapido sviluppo economico si è associato ad assunzione di stili di vita di tipo “occidentale”3. In Europa la prevalenza del sovrappeso è risultata compresa tra il 12% in Svezia e il 22% in Grecia e quella dell’obesità tra l’1,1% e il14,1%4. In Italia, studi condotti utilizzando metodi non standardizzati di rilevazione5,6 hanno fornito valori di prevalenza molto variabili che in parte sono stati confermati dall’indagine “Okkio alla salute”, svolta nel 2006 con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità nella quasi totalità delle regioni italiane su bambini della 3a classe elementare (8-9 anni dietà). Secondo i dati preliminari dello studio, la prevalenza di sovrappeso è risultata compresa tra il 17-26% e quella dell’obesità tra il 4-21% con una media sul territorio nazionale rispettivamente del 24% e del 12%; le regioni meridionali sono quelle con più elevata frequenza di eccesso ponderale nella popolazione pediatrica. La diffusione dell’obesità del bambino e dell’adolescente è senza dubbio preoccupante ove si consideri che il soprappeso comporta un elevato rischio di sviluppo di problemi psicosociali e di patologie a carico di svariati organi e apparati,tende a persistere aggravandosi nell’adulto ed è alla base della comparsa precoce di diabete mellito di tipo 2 (T2DM).Le prime segnalazioni di casi di T2DM in età pediatrica, negli anni ’70, facevano riferimento ad adolescenti obesi di origine indiano-americana; a partire dagli anni ’90, una crescente diffusione del T2DM è stata segnalata negli Stati Uniti anche in adolescenti di discendenza afro-americana e ispanoamericana,in Australia e Nuova Zelanda in popolazioni aborigene,in Giappone, a Hong Kong, in Bangladesh e in Libia7-9.

Uno screening di popolazione, effettuato in Giappone negli anni 1976-97 su sette milioni di scolari con determinazione della glicosuria e, in caso di sua positività, di glicemia a digiuno,ha dimostrato che il tasso di incidenza nella fascia di età 6-12 anni è decuplicato passando dallo 0,2/100.000 soggetti fra il 1976-80 al 2,1 fra il 1991-9510. Secondo indagini condotte negli USA, la percentuale di bambini e adolescenti affetti da T2DM tra i ricoverati in fase di esordio di diabete varia tra l’8 e il 45%, a seconda della composizione etnica dell’area geografica presa in esame7,8. Più di recente il fenomeno è parso interessare anche la popolazione caucasica americana, mentre i dati relativi all’Europa sono limitati. Uno studio nazionale in Inghilterra ha osservato, nei soggetti al di sotto dei 16 anni, un tasso minimo di prevalenza di T2DM di 0,2/100.000, valore nettamente inferiore rispetto al 3,8% rilevato in precedenza a Birmingham dove la popolazione dietnia sud-asiatica è più rappresentata e ha un rischio relativo di sviluppare T2DM 13,7 volte più elevato dei coetanei di discendenza inglese11. Nel periodo 1999-2001 il registro nazionale per il diabete in età pediatrica in Austria ha individuato8 adolescenti affetti da T2DM con un’incidenza di 0,25/100.000 bambini di età inferiore a 15 anni12. In Germania l’esecuzione di OGTT in 102 bambini obesi con familiarità per diabete ha portato alla diagnosi di T2DM in 6 adolescenti13. In Italia, uno studio condotto nel 2003 su 710 bambini obesi aveva dimostrato che solo lo 0,2% era affetto da T2DM14. Il un registro nazionale del T2DM in età pediatrica di recente promosso dal Gruppo di Studio Diabete della SIEDP ha peraltro censito nei primi 6 mesi di attività 29 adolescenti con T2DM, caratterizzati da BMI > 90° centile per età e sesso, esordio in età adolescenziale, prevalenza del sesso femminile, elevata ricorrenza della malattia nei genitori15.

Nel complesso gli studi europei, ma anche recenti prese di posizione americane, suggeriscono che l’incidenza e la prevalenza del T2DM in età pediatrica sono in modesto e costante aumento, ma non tale da configurarsi quale un evento epidemico come presentato in taluni articoli8,16. È possibile peraltro che la reale entità del fenomeno sia sottostimata in quanto la malattia è scarsamente sintomatica anche per periodi prolungati di tempo, sono possibili errori di classificazione e molti dei pazienti nella fascia di età adolescenziale non affluiscono a centri pediatrici. La necessità di mantenere comunque un’attenta sorveglianza su questo problema deriva anche da numerose segnalazioni secondo le quali anche la prevalenza di alterazioni dell’omeostasi glicemica,che potrebbero precedere la comparsa di T2DM, è molto elevata tra bambini e adolescenti obesi in diretta correlazione con l’eccesso ponderale7-9. In una popolazione multietnica americana alterata tolleranza glucidica (ATG) è stata riscontrata nel 25% dei bambini di 4-10 anni di età e  nel 21% degli adolescenti in sovrappeso indipendentemente dall’appartenenza etnica17. In Europa la prevalenza di ATG nei bambini obesi ha dimostrato tassi variabili tra il 4,5% in Italia e il 15-35% in Francia e Germania13,14,18. Aspetto da non trascurare è poi che nell’adolescente fortemente obeso l’ATG si associa con notevole frequenza a ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia totale con bassi livelli di HDL colesterolo,aumento dei valori pressori sisto-diastolici e steatosi epatica non alcolica, tutte componenti della cosiddetta “sindrome metabolica o da insulino-resistenza”, ritenuta uno dei fattori di rischio maggiore per lo sviluppo di malattia cardiovascolare19.La frequenza di quest’ultima è risultata ampiamente variabile (4,2-28%), a seconda del grado di eccesso ponderale dei bambini/adolescenti esaminati e soprattutto dei criteri adottati per la definizione di SM19-21. Nel 2007 la International Diabetes Federation (IDF) ha proposto una classificazione clinica della SM in età pediatrica di semplice applicazione che tiene conto delle differenze correlate alla fase di sviluppo accrescitivo22. La definizione di SM è stata stabilita facendo riferimento a 3 fasce di età (da > 6 a < 10 anni; da > 10 a < 16 anni; oltre i 16 anni). I bambini di età <6 anni non sono stati inclusi per la difficoltà di raccogliere un campione di dati sufficientemente ampio. Secondo le indicazioni IDF (Tab. 1), al di sotto dei 10 anni non si deve porre diagnosi di SM, ma i genitori e coloro che si prendono cura del bambino devono essere incoraggiati ad attuare interventi mirati per contenere e ridurre il sovrappeso.

 

 

 

L’insulino-resistenza nell’obesità e nel T2DM in età pediatrica

Più del 50% dei bambini/adolescenti in eccesso ponderale ha livelli elevati di insulinemia a digiuno e dopo pasto e gradi variabili di insulino-resistenza (IR) che comporta a livello del tessuto muscolare e adiposo una notevole riduzione dell’utilizzo di glucosio e mancata soppressione della sua produzione epatica8,9. Nella genesi dell’IR è stato prospettato l’intervento di fattori genetici e ambientali. Sebbene nell’adulto diversi geni che intervengono nella cascata di trasmissione del segnale insulinico siano stati trovati associati a obesità e IR, i dati in età pediatrica sono ancora troppo limitati per fornire risultati significativi23,24. L’entità della massa adiposa e soprattutto la sua disposizione dei diversi distretti corporei sono i fattori che più sembrano influenzare l’IR: in bambini prepuberi in sovrappeso la sensibilità all’insulina è risultata correlata alla quantità di tessuto adiposo sottocutaneo, mentre in adolescenti obese, al pari degli adulti, è il grasso depositato a livello viscerale che maggiormente condiziona l’IR25,26. I meccanismi attraverso i quali l’obesità viscerale determina IR, oltre alla sua elevata sensibilità alla stimolazione lipolitica, sono:– alterata produzione di adipocitochine: si esplica con una ridotta produzione di adiponectina e con aumento in circolo di resistina, inibitore-1 dell’attivazione di plasminogeno e citochine proinfiammatorie quali IL-6 e TNF, che potrebbero intervenire alterando la cascata endocellulare di attivazione enzimatica coinvolta nel segnale insulinico. A differenza delle precedenti adipocitochine, il tasso di leptina circolante è risultato correlato con l’insulinemia e con la quantità di tessuto adiposo sottocutaneo27,28;

– accumulo ectopico di lipidi nel muscolo scheletrico: l’impiego di tecniche spettroscopiche di RMN ha evidenziato in bambini prepuberi una correlazione tra quantità di lipidi muscolari e BMI, circonferenza della vita e rapporto glicemia/insulinemia; adolescenti gravemente obesi hanno un maggiore accumulo intra- ed extra-miocellulare di lipidi rispetto ai coetanei normopeso ed evidenziano una significativa correlazione inversa tra contenuto lipidico delle cellule muscolari e sensibilità all’insulina29,30.

Ulteriori determinanti dell’IR del bambino e adolescente obeso e del rischio di evoluzione verso T2DM sono stati identificati nell’inadeguato stile di vita che caratterizza soprattutto i Paesi industrializzati, in eventi che si realizzano durante la vita fetale e neonatale, nelle modificazioni ormonali tipiche della pubertà7-9,31.L’interesse nei confronti dei fattori perinatali nella genesi dell’IR è derivata dal riscontro di un maggiore rischio di sviluppo di T2DM in adulti che alla nascita avevano un peso inferiore a 2500 grammi o superiore a 4310 g. Anche la durata della gravidanza avrebbe un effetto, come dimostra la maggior frequenza di IR rilevata in bambini nati prematuri,indipendentemente dal loro peso neonatale. Questi studi hanno portato a ipotizzare che la denutrizione o l’iperalimentazione in utero siano in grado di condizionare nel feto anomalie ormonali e metaboliche permanenti con successivo sviluppo dapprima di obesità e IR e successivamente di iperglicemia.

 

Tolleranza glucidica normale a digiuno- Intolleranza glucidica Ridotta -Glicemia da Diabete tipo 2 (IFG) (IGT) (DMT2)

A digiuno <100 mg/dL

IFG100-125 mg/dL >126 mg/dL

Dopo carico orale con(OGTT)  <140 mg/dL

IGT140-199 mg/dL

>200 mg/Dl glucosio  DMT2

 

 

 

Glicemia

La glicemia, determinata al mattino a digiuno, è l’analisi principe per la diagnosi e il controllo del diabete. I valori di riferimento vanno fino a 110 mg%. Da 111 a 126 si parla di alterata glicemia a digiuno, in inglese IFG, e sopra 126 di diabete. Nel caso si riscontrino del valori alterati occorre per prima cosa ripetere la determinazione, in quanto la glicemia è sottoposta a fluttuazioni fisiologiche soggettive ed il valore di laboratorio è comunque gravato da un certo grado di errore, raramente inferiore al 3-5%, ed in alcuni casi, come nelle farmacie, anche superiore al 10%.Curva da carico (OGTT) La curva da carico si esegue facendo bere al paziente una soluzione che contiene 75 grammi di glucosio e prelevando il sangue due ore dopo. La glicemia deve essere inferiore a 140 mg%. Valori compresi tra 140 e 200 indicano una ridotta tolleranza al glucosio, in inglese IGT, mentre per valori superiori a 200 si parla di diabete. Uno dei principali problemi è che la glicemia a digiuno e la curva da carico non identificano la stessa popolazione, ma molti soggetti possono aver alterato un valore e perfettamente normale l’altro. Il diabete tipo 2 è infatti una malattia legata sia all’insulino resistenza, meglio determinata dalla glicemia a digiuno, che da una ridotta secrezione di insulina, messa in risalto in modo particolare dalla curva da carico. Pazienti che presentano IGT o IFG sono detti in prediabete, che rappresenta già una condizione di aumentato rischio cardiovascolare, questa condizione è un grosso fattore di rischio di sviluppare un diabete franco, ma è anche una condizione che può essere completamente reversibile con le più semplici e normali variazioni alimentari e di stile di vita. Molti pazienti restano nello stato di IGT o IFG per molti anni o anche per tutta la vita, senza mai sviluppare il diabete.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella 1 Criteri di classificazione della sindrome metabolica nel bambino e nell’adolescente (IDF 2007).

Fasce d’età Obesità Trigliceridi HDL-C Pressione Glicemia (mmol/L)

(anni) (WC) sanguigna o T2DM già diagnosticato

Da 6 a < 10  90° centile La sindrome metabolica non può essere diagnosticata, ma è necessario effettuare ulteriori

indagini se sono presenti familiarità per sindrome metabolica, T2DM, dislipidemia, malattie

cardiovascolari, ipertensione e/o obesità

Da 10 a <16  90° centile  1,7 mmol/L < 1,03 (mmol/L) Sistolica  130 > 5,6 mmol/L (100 mg/dl)

o cut-off dell’adulto ( 150 mg/dl) (< 40 mg/dl) mmHg o diastolica o T2DM già diagnosticato

se inferiore  85 mmHg (se > 5,6 mmol/L al 90° centile è consigliato OGTT)

>16 Utilizzare i criteri IDF per l’adulto

Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva

 

 

Soprattutto nei soggetti nati piccoli per età gestazionale (small for gestational age, SGA) è stato anche osservato che un eccessivo incremento di peso nei primi 2-3 anni di vita facilita l’insorgenza di obesità destinata a persistere nel tempo7,8,27,32,33.

Fisiologicamente in tutti i bambini il passaggio dalla fase prepuberale (stadio I di Tanner) a quella puberale (stadi II e III di Tanner) coincide con variazioni dei livelli circolanti di GH (growh hormone, ormone della crescita) e IGF-I (insulin-likegrowth factor I, fattore di crescita insulino-simile I) e speculare riduzione della sensibilità all’insulina compensata da un relativo aumento della secrezione dell’ormone pancreatico; il completamento dello sviluppo puberale riporta la secrezione insulinica ai livelli della prepubertà. È stato ipotizzato che in presenza di obesità grave la beta-cellula non sia in grado di contrastare efficacemente l’IR di questa fase dello sviluppo e vada incontro a una progressiva diminuzione di funzionalità secretoria34.

Nell’adulto l’iperinsulinismo e l’IR sono i fattori che correlano l’obesità allo sviluppo di T2DM attraverso un processo evolutivo che si compie nell’arco di anni attraverso fasi caratterizzate da:

1. IR con iperinsulinismo compensatorio, che consente di mantenere la glicemia a digiuno e dopo pasto entro limiti normali;

2. aggravamento dell’IR con iniziale deficit secretorio di insulina testimoniato da occasionale comparsa di moderata iperglicemia dopo pasto;

3. ulteriore peggioramento dell’IR e netta riduzione della secrezione insulinica che determina iperglicemia anche a digiuno e spesso coincide con la diagnosi di T2DM.

In alcuni adolescenti questo evento fisiopatologico appare fortemente accelerato con una veloce transizione dalla normale tolleranza ai carboidrati (NTG) all’iperglicemia. Alcuni studi longitudinali hanno tentato di determinare i parametri clinici e antropometrici che caratterizzano bambini e adolescenti obesi a rischio di T2DM. L’esecuzione di OGTT in 117 bambini obesi ha identificato NTG in 84 e ATG (alterata tolleranza ai glucidi) in 33; tra questi ultimi, a distanza di due anni, 10 hanno mantenuto ATG, 15 sono tornati a NTG e 8 hanno sviluppato T2DM. In questa casistica l’obesità grave,l’ATG e soprattutto la familiarità per T2DM sono risultati i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di iperglicemia. Un altro studio longitudinale condotto su una casistica più numerosa con esecuzione ripetuta di OGTT ha dimostrato che anche modeste modificazioni della sensibilità insulinica in un bambino obeso con IR determinano un’accresciuta richiesta di secrezione, con conseguente veloce progressione dello stress e dell’esaurimento funzionale della beta-cellula e che questo fenomeno è strettamente in correlazione alla gravità dell’eccesso ponderale35.

 Più di recente l’impiego del clamp iperglicemico e dei metodi di minimal model applicati al test da carico di glucosio (OGTT) ha permesso di evidenziare che in alcuni bambini e adolescenti in sovrappeso, ma con NTG, è già presente un deficit della fase di secrezione insulinica precoce. L’anormalità secretoria sembra caratterizzare i bambini di discendenza afroamericana e ispano-americana rispetto a coetanei caucasici e i soggetti con storia familiare di T2DM rispetto a quelli senza familiarità36,37. Lo sviluppo di T2DM potrebbe quindi essere conseguente a un difetto genetico della funzione beta-cellulare la cui manifestazione è facilitata nel soggetto giovane obeso dall’IR. In popolazioni europee il gene con il maggiore impatto sul rischio di T2DM è stato identificato nel gene TCF7L2, che sembra determinare una minore capacità secretoria pancreatica. È stato dimostrato che varianti  comuni del gene determinano un effetto additivo sulla possibilità di sviluppo della malattia: adulti portatori di un singolo allele avrebbero un rischio di 1,3-1,6, che raddoppia nel soggetto con due coppie di alleli. In uno studio su 1029 bambini varianti del gene TCF7L2 sono state associate con un aumentato rischio di ATG solo in quelli che erano obesi.

Nel 2007 cinque analisi estese all’intero genoma (genomewidescan) effettuate su ampie popolazioni di pazienti hanno identificato, oltre alle varianti di TCF7L2, 6 nuovi geni disuscettibilità; tra questi il gene FTO è particolarmente interessante poiché sembra essere l’unico le cui varianti predispongono al T2DM attraverso la predisposizione all’obesità e si è osservata una sua associazione con il BMI in bambini di 7 o più anni di età.

 

 

 

Clinica dell’obesità e del T2DMin età pediatrica

 

Uno dei maggiori problemi, quando si vogliano sviluppare ricerche sull’obesità nel bambino/adolescente, è quello di stabilire una definizione comune a tutti dell’eccesso ponderale.La Task Force Internazionale sull’Obesità (International Obesity Task Force, IOTF) nel 1994 ha proposto di utilizzare l’indice di massa corporea (body mass index, BMI) e di identificare anche in età pediatrica il sovrappeso e l’obesità con il valore di 25 e 30 kg/m2 usato per l’adulto. La relazione tra BMI e composizione corporea è peraltro complessa e influenzata da diversi fattori (età, sesso, etnia e fase di sviluppo sessuale), per cui i valori di cut-off dell’adulto non sono applicabili in pediatria. Ciò ha portato a elaborare in alcune nazioni, tra cui l’Italia38, tabelle nazionali dei centili di BMI per età e sesso in base alle quali per convenzione oggi si definisce obeso il bambino/adolescente con peso superiore al 95°centile del BMI specifico per età e sesso, e in sovrappeso (o a rischio di obesità) il soggetto con BMI compreso tra l’85°e il 95°. Usando questa definizione, si è osservato che adolescenti di oltre 13 anni con BMI > 95° centile hanno un rischio di obesità in età adulta superiore a 50%. In questo gruppo di soggetti in apparente buona salute sono talora già presenti manifestazioni cliniche peculiari, sintomi iniziali di complicanze (Tab. 2) e anormalità di laboratorio, che fanno classificare buona parte degli adolescenti obesi come affetti da sindrome metabolica. Tra le manifestazioni cliniche associate all’obesità all’esame nel bambino deve essere attentamente valutata la presenza di:

– acanthosis nigricans (AN): è caratterizzata da strie cutanee simmetriche a superficie vellutata o verrucosa, di colorito brunastro, localizzate principalmente a livello della regione posteriore del collo e meno spesso alle pieghe ascellari e nelle zone di flessione articolare. Istologicamente le lesioni presentano ipercheratosi con papillomi epidermici e infiltrazione del derma da parte diglicoaminoglicani. La sua presenza è stata osservata in circa il 10-40% degli adolescenti con IR e obesità grave e in misura maggiore negli affetti da T2DM;

sindrome dell’ovaio policistico (polycystic ovary syndrome,PCOS): è stata segnalata in circa il 14% delle donnein età fertile, in un terzo delle quali è presente obesità associata a irsutismo, acne e iperinsulinemia. Una riduzione della fase precoce di secrezione insulinica dopo stimolo con glucosio ev e ATG è stata osservata nel 40% delle adolescenti obese con PCOS che sono pertanto esposte a elevato rischio di sviluppo di T2DM. La somministrazione di metformina per un breve periodo di tempo (3 mesi) in adolescenti con PCOS e ATG si è dimostrata utile per migliorare l’iperandrogenismo e l’IR;– steatosi epatica non alcolica (non alcoholic steato-hepatitis, NASH): la sua patogenesi è stata ricondotta all’IR, che determina aumento della lipolisi, eccessiva ossidazione di acidi grassi e formazione di radicali liberi con conseguente danno dell’epatocita e induzione di fibrosi mediata dalla produzione di citochine; la sua prevalenza è stata stimata tra il 10-25%;

– sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno: è presente nel 13% dei bambini con obesità grave, può causare riduzione della performance fisica e intellettuale, richiede talora il ricorso a ventilazione continua a pressione positiva e/o a intervento di tonsillectomia;– problematiche psicologiche: riduzione dell’autostima, comportamento aggressivo o provocatorio, tendenza alla depressione e la percezione di una ridotta qualità di vita sono riferiti in circa il 40-60% degli adolescenti che richiedono cure per la loro obesità. Spesso il disagio è la conseguenza di conflitti subiti per anni all’interno dell’ambiente familiare e sociale entro il quale il ragazzo è cresciuto e alla base del frequente insuccesso dei diversi tentativi terapeutici27,32. Quando esordisce nell’adolescente/bambino obeso, il T2DM tende a interessare con frequenza maggiore il sesso femminile, a un’età superiore a 10 anni e nella fase avanzata dello scatto puberale. È preceduto da una sintomatologia, variabile da iperglicemia moderata asintomatica sino a quadro di vera chetoacidosi (circa il 20% dei casi); in un terzo dei pazienti la diagnosi viene posta in occasione di esami di routine praticati in assenza di sintomi specifici. La glicemia oscilla da valori prossimi alla normalità sino a superiori a 300 mg/dl; quando associata a chetoacidosi, può richiedere diagnosi differenziale con il T1DM e con altre forme meno frequenti come il diabete mellito non insulino-dipendente a esordio giovanile (maturity onset diabetes of the young,MODY), soprattutto tenendo presente che il 15-20% degli adolescenti ricoverati all’esordio di diabete sono in sovrappeso7-9. Nella figura 1 è riportato l’algoritmo diagnostico suggerito dall’American Diabetes Association (ADA)7.La successiva evoluzione del T2DM a esordio giovanile è gravata da elevato rischio di comparsa precoce di complicanze micro- e macroangiopatiche. In un gruppo di 7844 adulti con T2DM, i soggetti con malattia diagnosticata tra 18 e 44 anni presentavano un rischio di microalbuminuria, complicanze macrovascolari e infarto miocardico da 2 a 3 volte superiore rispetto ai pazienti con esordio dopo i 45 anni39.Tra gli adolescenti Pima la microalbuminuria è stata riscontrata nel 22% dei pazienti già alla diagnosi e nel 58% dopo soli 10 anni di malattia, allorché nel 16% era presente macroproteinura, nel 15% retinopatia e nel 30% ipercolesterolemia.In Giappone uno studio comparativo condotto su pazienti con T1DM e T2DM a esordio giovanile ha dimostrato che i  primi sviluppano maggiormente retinopatia e i secondi nefropatia7,8. Questo dato è stato confermato in adolescenti australiani affetti da T2DM i quali sviluppano ipertensione e

microalbuminuria precocemente anche se in buon compenso metabolico40. Nella patogenesi delle complicanze vascolari dell’obesità e del T2DM dell’adolescente, come dell’adulto,un ruolo di rilievo è stato attribuito all’infiammazione. Una correlazione diretta tra eccesso ponderale e aumento degli indici di stress ossidativo e dei fattori proinfiammatori (IL-6,proteina C reattiva e fibrinogeno) è stata osservata anche in adolescenti obesi: queste anomalie sono parse peraltro reversibili dopo un programma mirato alla modificazione dello stile di vita41.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella 2 Sintomi e complicanze correlate all’obesità in età pediatrica.

Sintomatologia a livello d’organo

Osteoarticolari

• Ginocchio valgo

• Malattia di Blount

• Epifisiolisi capitale femorale

Cutanee

• Dermatiti, dermatosi

• Strie cutanee

Acanthosis nigricans

• Irsutismo

Polmonari

• Sindrome di Pickwick

• Ridotta performance C-R allo sforzo

• Alterazioni dei volumi respiratori

• Disturbi di respirazione durante il sonno

Sintomatologia sistemica secondaria

ad alterata funzione beta-cellulare pancreatica

• ATG, DM di tipo 2

• Dislipidemia

• Steatoepatite non-alcolica (NASH)

• Ipertensione arteriosa

• Maturazione precoce e deficit di GH

• Policistosi ovarica, irsutismo

Problematiche psicosociali

• Isolamento sociale

• Depressione/Frustrazione

• Comportamento oppositivo/Dipendenza

• Bulimia nervosa/Binge eating

Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva

 

Screening e test diagnostici per T2DM in età pediatrica

La diffusione del T2DM nella popolazione pediatrica ha aperto la discussione sulla necessità di attuare lo screening dei  soggetti a rischio e sulle sue modalità di attuazione. Campagne di screening estese indiscriminatamente alla popolazione pediatrica in sovrappeso non sono ritenute giustificabili a causa del loro elevato costo economico. L’American Diabetes Association e l’American Academy of Pediatrics hanno proposto di attuare lo screening indirizzandolo ai soggetti con fattori di rischio per T2DM: dovrebbero pertanto essere sottoposti a valutazione i bambini con sovrappeso superiore all’85° centile per età e sesso (o peso superiore al 120% del peso ideale per la statura) e che abbiano almeno 2 altri fattori di rischio (storia familiare nei parenti di 1° e 2° grado, appartenenza a razza o etnia con alta prevalenza di malattia, segni di insulino-resistenza o condizioni a essa associata come AN, PCOS, ipertensione).In questa popolazione selezionata a partire dall’età di 10 anni o all’inizio della pubertà è raccomandata annualmente la determinazione di glicemia a digiuno, da ripetere in seguito ogni 2 anni7. La scelta della glicemia a digiuno come test diagnostico, se da un lato è di costo contenuto, non consente di individuare i soggetti negli stadi iniziali di malattia e soprattutto di valutare il loro grado di insulino-resistenza e/o di funzionalità beta-cellulare. Per lo studio di questi ultimi parametri anche nel bambino è necessario ricorrere a test più complessi. Il clamp euglicemico-iperinsulinemico è certamente il gold standard ma il costo, la difficoltà e l’invasività della sua esecuzione lo rendono scarsamente accettabile in pazienti di età pediatrica. In alternativa sono stati diffusamente impiegati modelli “omeostatici” della sensibilità insulinica, basati sulla determinazione di glicemia e insulinemia a digiuno, tra i quali gli indici HOMA-IR (homeostatic model assessment of insulin resistance) e QUICKI (quantitative insulin sensitivity check index27,37,42,43. L’HOMA-IR è il metodo più spesso utilizzato, ma presenta delle limitazioni in quanto: a causa della notevole variabilità dei valori di insulinemia a digiuno nelle diverse popolazioni ed età, richiede di

 -disporre di valori specifici di normalità;

si basa sull’assunto di una equivalenza tra sensibilità epatica e periferica all’insulina, che è stata confutata da diversi studi;

fornisce una valutazione “statica” dell’insulino-resistenza che non consente di esplorare come questa possa essere modificata e compensata dalla secrezione insulinica. L’HOMA-IR è il parametro di prima scelta negli studi su ampie casistiche, ma qualora si voglia esplorare anche il versante della secrezione insulinica, è preferibile ricorrere al test da carico orale o endovenoso di glucosio43. In corso di OGTT, attraverso la determinazione di glicemia e insulinemia è possibile calcolare diversi indici, quali WBISI (whole body insulin sensitivity index), ISI (insulin sensitivity index) e OGIS (oral glucose insulin sensitivity) che sono stati validati in paragone al clamp euglicemico-iperinsulinemico. La loro applicazione in età pediatrica ha dimostrato che indipendentemente dalla gravità dell’IR i soggetti a maggiore rischio di evoluzione verso ATG e/o T2DM sono quelli con deficitaria risposta della fase precoce della secrezione beta-cellulare37.

 

Tab3 Algoritmo diagnostico per T2DM.

Glicemia

Familiarità per diabete

Obesità

Sì No

C-peptide e insulinemia a digiuno Autoanticorpi

Alti

Sì No Bassi Alti

Bassi No Sì

Autoanticorpi C-peptide e insulinemia a digiuno Sì

T2DM T1DM T1DM idiopatico o MODY T2DM T1DM immunomediato immunomediato

 

Terapia dell’obesità e del T2DM in età pediatrica

L’obesità può essere interpretata come il risultato finale delle interazioni vicendevoli tra ambiente, caratteristiche biologiche e comportamento; solo in un limitato numero di pazienti il sovrappeso rappresenta una vera e propria patologia congenita individuale, dovuta a difetti monogenici come nel caso delle sindromi di Prader-Willi o di Cohen, del deficit congenito di leptina o del sistema oppioide24. Per quanto difficilmente quantificabile, l’eccesso ponderale costituisce un costo per la società, che si protrae ben oltre l’età evolutiva. Negli USA i costi annuali associati all’obesità a esordio pediatrico sono più che triplicati nel periodo dal 1979-81 al 1997-99. La spesa sociale di un bambino obeso e di quello con T2DM in

Germania è risultata rispettivamente 3 e 8 volte superiore a quella necessaria per eventuali terapie di un coetaneo normopeso. Questi calcoli teorici sono ovviamente destinati a lievitare a dismisura nel bambino obeso diventato adulto con complicazioni32. Se non ci sono dubbi sulla necessità di curare il sovrappeso, bisogna ammettere che le strategie terapeutiche sino a ora proposte si sono rivelate scarsamente efficaci

e i risultati positivi ottenuti in alcuni protocolli di ricerca non sono facilmente trasferibili nella pratica clinica quotidiana. Più che su rigidi schemi dietetici, l’intervento dovrebbe essere in primo luogo mirato a fornire le regole dell’alimentazione corretta (consumo preferenziale di alimenti salutari come la frutta

e la verdura, riduzione delle porzioni e dei fuori-pasto, sostituzione dei grassi animali con olio d’oliva, contenimento,se non abolizione delle bevande zuccherate). La prescrizione dietetica deve essere il punto di arrivo di un percorso di informazione del bambino, della sua famiglia e dell’ambito più vasto costituito dalla scuola e dalla comunità dei coetanei, e va impostata tenendo conto delle caratteristiche culturali ed

economiche della famiglia. Secondo le raccomandazioni dell’ADA i carboidrati e i lipidi dovrebbero fornire il 60-70% dell’apporto calorico totale con meno del 10% di derivazione da grassi saturi e minimo apporto di grassi trans-saturi, a questo va aggiunto un ulteriore 10% di grassi polinsaturi. L’apporto giornaliero di colesterolo dovrebbe essere inferiore a 300 mg. Il ricorso a diete fortemente restrittive come quelle a risparmio proteico o chetogene ha scarse indicazioni in età pediatrica e deve comunque essere attuato solo sotto stretta sorveglianza medica. La supplementazione di un qualsivoglia regime dietetico con vitamine, minerali o antiossidanti non è basata su evidenze cliniche44. Oltre che sull’educazione alimentare, la terapia dell’obesità giovanile si fonda sulla correzione della sedentarietà: qualsiasi forma di aumento della spesa energetica è benefica, sempre che l’esercizio fisico sia appropriato e ben accettato dal bambino. Si è calcolato che la riduzione di un’ora del tempo trascorso davanti alla televisione determina un calo di circa 167 chilocalorie nell’assunzione calorica. Il costo energetico di attività fisiche moderate è proporzionale al peso corporeo, ma non alla massa grassa o al metabolismo a riposo. Il bambino con grave sovrappeso ha necessità di iniziare la respirazione anaerobica a un’intensità di esercizio più bassa del coetaneo normopeso, pertanto è consigliabile che pratichi esercizio per un periodo più lungo a un livello di intensità minore32. L’utilità di programmi di esercizio fisico strenuo in soggetti in età evolutiva non è ancora stata dimostrata: in un gruppo di adolescenti sottoposti a esercizio di resistenza (con sessioni di 20 minuti tre giorni alla settimana per 3 mesi) si è ottenuta una riduzione del grasso viscerale con solo un modesto non significativo miglioramento dell’insulinemia e della tolleranza glicemica45. Le modificazioni dello stile di vita, i cui benefici effetti sul piano metabolico cominciano a rendersi evidenti dopo alcune settimane anche dopo un calo ponderale anche di modesta entità (intorno a 4 kg) richiedono il coinvolgimento di tutto il nucleo familiare e un’attenta considerazione delle eventuali problematiche emozionali del bambino. I bambini/adolescenti che maggiormente necessitano di supporto solo quelli che, pur riconoscendo la propria obesità come un problema, hanno difficoltà nel contenere il bisogno compulsivo di alimentarsi o che hanno disturbi del controllo neuroendocrino dell’appetito. Le conoscenze sulla regolazione dell’appetito stanno crescendo molto rapidamente:

oggi sappiamo che la spinta all’alimentazione è mediata dal neuropeptide Y, dalla GHrelina, dall’oressina,

mentre le melanocortine, l’ormone stimolante la alfa-melanocortina, la colecistochinina, il GLP-1 e il peptide YY3-36 sono coinvolti nella sazietà. Una ridotta soppressione del livello di GHrelina e un aumento di PYY dopo pasto è stata osservata in adolescenti di origine afro-americana suggerendo che anormalità geneticamente determinate della regolazione della fame/sazietà predispongano allo sviluppo di obesità.

Nell’adulto obeso l’impiego di analoghi di GLP-1 (exenatide) e/o di inibitori della lipasi gastrointestinale (orlistat) sono utilizzati con risultati promettenti, ma la loro prescrizione negli adolescenti, al di fuori di sperimentazioni cliniche controllate, è molto discussa. Attualmente non esistono linee guida specifiche per la selezione dei pazienti pediatrici obesi da sottoporre a terapia farmacologica. La decisione in tale

senso dovrebbe essere presa dopo una scrupolosa valutazione della storia familiare, della situazione metabolica e psicosociale, delle eventuali risposte a precedenti interventi di modificazione dello stile di vita32. La comparsa di T2DM nell’adolescente impone un notevole impegno per l’equipe curante che deve adottare programmi strutturati di educazione terapeutica, valutare attentamente la presenza di situazioni disfunzionali nella famiglia, definire la strategia di automonitoraggio glicemico. La dieta, l’esercizio fisico e il controllo del peso costituiscono i capisaldi della cura e, se adeguatamente attuati sino dalla diagnosi, possono 127 Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva migliorare non solo la glicemia, ma anche altri fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia. Esiste un sostanziale accordo, per cui la terapia del T2DM in età pediatrica deve essere impostata secondo un algoritmo dettato dalla situazione clinica del paziente7-9,46,47. Nell’adolescente in buone condizioni generali nel quale la diagnosi avvenga in occasione di visita occasionale o di screening mirato, il primo provvedimento da attuare per un periodo di circa 2-3 mesi è un programma di modificazione dello stile di vita che, se efficace, va mantenuto nel tempo con controlli trimestrali del peso e del compenso metabolico. Il successo di questo intervento è limitato a non più dell’8- 10% dei pazienti: molti adolescenti hanno difficoltà a modificare lo stile di vita o a mantenere nel tempo l’adesione alle indicazioni terapeutiche. In caso di insuccesso o nell’adolescente con sintomatologia clinica modesta e situazione metabolica non gravemente scompensata (emoglobina glicosilata, HbA1c < 7,5%) è consigliabile ricorrere a terapia farmacologica. Attualmente l’unico farmaco approvato per l’uso in età pediatrica dalla Food and Drug Administration (FDA) americana e dall’European Medicine Agency (EMEA) è la metformina (Mtf), in grado di migliorare la glicemia e i valori di HbA1c, LDL colesterolemia e trigliceridemia senza indurre rischio di ipoglicemia e aumento di peso. Uno studio randomizzato in doppio cieco della durata di 16 settimane ha dimostrato la sua efficacia e sicurezza in pazienti di età compresa tra 10 e 16 anni: il miglioramento della glicemia è stato osservato a partire dopo 2 settimane di terapia, iniziata alla dose di 500 mg/die e salita gradualmente sino a un massimo di 2 g/die. A causa del suo effetto sull’insulino-resistenza, la Mtf è stata impiegata anche in adolescenti non diabetiche con PCOS48. Nel 25% dei pazienti trattati con Mtf sono stati segnalati effetti collaterali a livello gastrointestinale (diarrea e crampi addominali), peraltro di modesta entità e a graduale risoluzione. Studi a lungo termine sono comunque necessari: in adolescenti indiano-canadesi, infatti, la terapia con Mtf condotta per un anno ha determinato un miglioramento solo modesto dell’HbA1c e del peso corporeo49. Se la monoterapia con Mtf si dimostra inefficace dopo un periodo di 3-6 mesi, si può considerare l’aggiunta di un altro ipoglicemizzante orale del tipo sulfonilurea, meglitinide o tiazolidendioni, tenendo peraltro presente che non sono stati ancora pubblicati studi sulla

terapia combinata negli adolescenti. L’acarbose, un inibitore dell’alfa-glucosidasi, infine, è poco utilizzato nel bambino e adolescente anche in considerazione del fatto che determina sintomatologia gastrointestinale fastidiosa46,47. In caso di insuccesso dei precedenti approcci terapeutici e nell’adolescente con sintomatologia clinica evidente (disidratazione, chetosi, acidosi, glicemia > 300 mg% e HbA1c > 7,5%) è obbligatorio l’impiego di insulina. A causa dell’insulino- resistenza tipica del T2DM possono essere necessarie dosi relativamente elevate di insulina (> 1 U/kg di peso); l’associazione di insulina regolare o di analoghi ad azione rapida prima dei pasti e insulina o analoghi ad azione lenta costituisce lo schema terapeutico più efficace, pur comportando un aumento di peso e di rischio di ipoglicemia. Nel paziente di nuova diagnosi, superato lo scompenso iniziale, all’insulina va associata la somministrazione di Mtf, che diventa l’unico farmaco quando con il miglioramento della glicemia si può sospendere la terapia iniettiva.

Conclusioni

Sino ad alcuni anni fa, il T2DM era considerato una patologia esclusiva dell’adulto, ma la diffusione epidemica dell’obesità ne ha determinato la precoce comparsa in età pediatrica. Inizialmente osservato in giovani appartenenti a minoranze etniche, il T2DM sta cominciando a essere diagnosticato nella popolazione europea in un numero limitato di adolescenti obesi che potrebbero rappresentare la punta di un iceberg la cui dimensione apparirà evidente in un prossimo futuro. In effetti numerosi studi hanno evidenziato che una percentuale non trascurabile di bambini in sovrappeso manifesta alterata tolleranza glicidica che, se non corretta, può evolvere verso l’iperglicemia. L’insulino-resistenza e, secondo recenti segnalazioni, il difetto di secrezione beta-cellulare sono i fattori che correlano l’obesità al T2DM e nella loro genesi intervengono fattori genetici e ambientali. Soprattutto gli adolescenti con obesità grave a inizio nei primi anni di vita e con familiarità per diabete sono a più elevato rischio di veloce progressione da ATG a iperglicemia. Un’ulteriore conseguenza dell’eccessivo aumento di peso nella popolazione pediatrica è la crescente diffusione di componenti della SM che non solo peggiorano il rischio di T2DM, ma sono anche un segno premonitore di possibile progressione verso la malattia cardiovascolare. L’utilizzo dei criteri di classificazione della SM in età pediatrica, messa a punto dall’IDF nel 2007, può fornire l’opportunità di valutare la sua diffusione e di elaborare strategie di prevenzione. Se esistono chiare dimostrazioni che modificando lo stile di vita e ricorrendo a terapia farmacologica si può prevenire il diabete nell’adulto, l’intervento in età pediatrica deve essere indirizzato a una sua prevenzione primaria attraverso il contenimento della diffusione del sovrappeso/obesità. La promozione dell’allattamento al seno, che riduce l’eccessivo introito calorico e che migliora la sensibilità insulinica a causa del suo elevato contenuto di grassi polinsaturi, è il primo passo da adottare a questo proposito. Studi condotti in popolazioni ad alto rischio hanno infatti evidenziato una ridotta prevalenza di T2DM in bambini allattati al seno53. Il latte materno inoltre sembra in grado di ridurre il rapporto peso/statura, lo spessore delle pliche cutanee e il valore medio di glicemia sino all’età di 2 anni32. Nelle età successive  la prevenzione dell’obesità si fonda su una serie di interventi che vedono coinvolti la famiglia, gli operatori sanitari, la scuola e i responsabili della sanità. Al medico di famiglia spetta il compito di valutare periodicamente lo sviluppo staturo-ponderale del bambino e di individuare, tra coloro che iniziano a presentare una significativa deviazione dei centili di normalità, i soggetti che per caratteristiche familiari e personali sono a maggior rischio di successiva evoluzione peggiorativa. Con i genitori del bambino occorre a questo punto concordare una serie di obiettivi realistici, che consentano di migliorare lo stile di vita. Il coinvolgimento della famiglia è essenziale per capire quali sono le motivazioni alla base dell’eccesso ponderale, qual è la valutazione che ogni componente del nucleo dà del sovrappeso, qual è la disponibilità al cambiamento dello stile di vita. Come dimostrato da alcune evidenze, il ruolo della scuola è di non minore importanza. Campagne mirate a favorire l’educazione nutrizionale e l’attività fisica in allievi delle scuole medie e superiori hanno determinato una riduzione della prevalenza dell’obesità (da 16,6 a 14,6%) nella fascia di età 11-12 anni e dal 15,5 al 13,1% in quella 15-16 anni54. Accanto a interventi individuali e di comunità sono comunque necessari anche indirizzi legislativi, rivolti a migliorare l’educazione alimentare, incentivare l’esercizio fisico, ridurre la diffusione di prodotti e di “mode” non salutari e promuovere l’individuazione dei bambini obesi a rischio di sviluppo di T2DM mediante screening

selettivo. Una volta che il T2DM sia stato diagnosticato nel soggetto giovane, è compito dell’equipe curante mettere in atto tutti gli interventi indispensabili per motivare il paziente e la sua famiglia a modificare il proprio stile di vita e, in caso di insuccesso, aderire alle altre possibili terapie, attualmente limitate alla metformina e all’insulina che trova la sua principale indicazione nello scompenso metabolico all’esordio. In considerazione del presumibile aumento di diffusione del T2DM nella popolazione pediatrica nei prossimi anni, l’IDF, nel Workshop 2003, ha sottolineato la necessità di: migliorare la definizione dell’entità della malattia e della sua eziopatogenesi; standardizzare i criteri di classificazione e i metodi di diagnosi, determinando in particolare il ruolo dell’OGTT nello studio di pazienti asintomatici; valutare il costo e l’impatto emozionale dell’eventuale

screening;

studiare la sicurezza e l’efficacia degli ipoglicemizzanti orali nel bambino e adolescente con T2DM;

determinare attraverso studi multicentrici controllati il ruolo della terapia insulinica;

sviluppare strategie innovative di intervento per il bambino e la sua famiglia, che garantiscano un persistente miglioramento dello stile di vita e siano in grado di prevenire la diffusione dell’obesità nella popolazione.

 

 

 Se nelle vostre analisi del sangue trovate la glicemia espressa in milligrammi /dL( mg/100ml) applicare questa formula:

HOMA-IR = (glicemia a digiuno x insulinemia a digiuno) / 405

HOMA-B% = (360 x insulinemia a digiuno) / (glicemia a digiuno – 63)

HOMA-IR: è l’indice HOMA che rappresenta l’insulino resistenza. I valori normali sono di 0,23 – 2,5

HOMA-B%: è l’indice HOMA che riporta la funzionalità delle cellule beta del pancreas. Se si ottiene 100 significa che il 100% delle cellule beta funzionano tutte, se si ottiene 0 non funziona nessuna cellula beta pancreatica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 Malattia

 

 Insulinemia
a digiuno Glicemia a digiuno

 Nessuna   normale normale Resistenza all'insulina
  ↑↑ normale o ↑

Incapacità di secernere insulina da parte delle cellule Beta (tipica del diabete e delle malattie del pancreas come le pancreatiti).


  ↓↓ ↑↑

Eccessiva secrezione di insulina da parte delle cellule pancreatiche (tipica dell'insulinoma, del morbo di Cushing, o sovrainiezione di insulina esogena).


  normale ↑↑ ↓↓ LEGENDA: ↑ = leggermente aumentato;  ↑↑ = molto aumentata;  ↓↓ = molto diminuita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       Figura 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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